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Suicidio tossicodipendente non evitabile perché improvviso e repentino

Suicidio tossicodipendente non evitabile perché improvviso e repentino

Una donna, in proprio e quale erede del figlio che si era suicidato mentre era ricoverato per seguire un programma di disintossicazione e recupero dalla dipendenza di eroina, cita la struttura dove era avvenuto il fatto deducendo che l’evento era imputabile alla convenuta per il mancato colposo adempimento ai doveri di assistenza e di sorveglianza e chiedendo conseguentemente il risarcimento dei danni patiti. 

La domanda della parte attrice viene respinta sia in primo grado che in appello.

Il giudice di secondo grado, in particolare, esclude la responsabilità della struttura in quanto le risultanze processuali avevano dimostrato la predisposizione di misure organizzative idonee alla suddetta funzione di sorveglianza, mentre le condizioni della vittima non avevano invece palesato indici che potessero far prevedere un gesto repentino come quello posto in essere.

La donna ricorre in cassazione sostenendo che la decisione del giudice d’appello era errata in fatto e in diritto perché agli atti manca la prova della predisposizione di misure adeguate a evitare il prevedibile gesto della vittima.

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 15012/2023, depositata il 29.05.23, rigetta il ricorso avanzato dalla donna confermando così la correttezza della decisione impugnata.

La Suprema Corte, in particolare, osserva che i giudici di merito hanno correttamente esaminato la domanda risarcitoria fondata sull'omessa sorveglianza, ovvero mancata protezione dell’assistito cui la struttura era tenuta in forza del contratto che la obbligava a erogare il servizio di “recupero dalla tossicodipendenza” e giustamente ritenuto che era stata fornita la prova di non avere potuto impedire l’evento e il danno pur avendo applicato le relative previste misure di sicurezza; che, d’altra parte, sia l’assistente sociale che il medico e anche altri ragazzi presenti nella struttura avevano descritto il comportamento della vittima al tempo dei fatti come del tutto privo di indizi riferibili a condotte autolesioniste o che potessero essere fonte di preoccupazione specifica; che di conseguenza hanno giustamente ritenuto che la condotta suicida della vittima doveva ritenersi essere stata sia imprevedibile che repentina; che pertanto la condotta della vittima doveva essere giudicata come causa assorbente dell’evento con conseguente elisione del nesso eziologico astrattamente correlabile alla condotta del responsabile della sorveglianza ex art. 2047 c.c.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista. già consigliere presso la corte d'Appello di Milano e magistrato tributario

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