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Intervento di corporoplastica secondo Nesbit modificata e questioni inerenti la relativa responsabilità civile

Intervento di corporoplastica secondo Nesbit modificata e questioni inerenti la relativa responsabilità civile

Un paziente conviene in giudizio innanzi al Tribunale una Azienda Socio-Sanitaria Territoriale (ASST) chiedendo il risarcimento dei danni subiti in seguito a un intervento di “corporoplastica secondo Nesbit modificata” al quale era stato sottoposto, eseguito in tesi con modalità non corrette. 

Deduce, in particolare, il malato che egli era affetto da una patologia congenita a livello genitale, consistente nell'incurvamento (solo di tipo ventrale e non laterale) del pene, patologia che rendeva difficoltoso l’atto della penetrazione con conseguente necessità di essere sottoposto all'intervento chirurgico, prestando il consenso solo all'intervento diretto all'incurvamento ventrale; che, peraltro, l’intervento era stato realizzato anche per un incurvamento laterale, mai riscontrato in precedenza, per cui tale incurvamento era stato provocato da un errore medico, con conseguente aggravamento della situazione clinica precedente anche per la mancata risoluzione dell’incurvamento ventrale, da cui le persistenti difficoltà della funzione erettile.

Il Tribunale, previa CTU e riconvocazione dei consulenti, ritiene infondata la domanda che, quindi, viene respinta.

La sentenza di primo grado viene riformata in appello, con conseguente condanna dell'ASST al risarcimento dei danni liquidati sia per la non corretta risoluzione del problema relativo all'incurvamento ventrale e per l’insorgenza colpevole dell’incurvamento laterale, sia per l’omesso adeguato consenso informato.

L'ASST, quindi, ricorre in cassazione denunciando vari errori di diritto in relazione sia agli oneri probatori ingiustamente posti a suo carico, sia in relazione all'accertata responsabilità per l’omesso adeguato consenso informato.

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 8364/2024, depositata il 27.03.24, cassa la sentenza d’appello impugnata, con rinvio ad altro giudice d’appello per il riesame della vicenda alla luce dei principi di diritto affermati.

La Suprema Corte, in particolare, osserva che, contrariamente a quanto stabilito dal giudice d’appello, compete al paziente provare che il peggioramento, in termini di insorgenza del recurvatum laterale, era successivo all’intervento operatorio, avendo egli sostenuto che prima di quest’ultimo la patologia non era presente, ma era sopravvenuta all’intervento; che, inoltre, la prova della tecnica operatoria utilizzata nell’intervento relativo al recurvatum ventrale compete certamente alla struttura sanitaria, mentre la prova del nesso causale rispetto alla recidiva riscontrata spetta al paziente che si è limitato genericamente a sostenere che la predetta recidiva è resa meno frequente con l’impiego di suture non riassorbibili, senza fornire elementi sufficienti per accertare che l’impiego di queste suture sarebbe stato in grado di prevenire la recidiva “più probabilmente che non”; che, infine, dato che la violazione dell’obbligo del consenso informato è stata ritenuta sotto il profilo della violazione del diritto all’autodeterminazione, il presupposto del diritto risarcitorio è la circostanza - non debitamente accertata dal giudice di merito - che il paziente, ove informato, non si sarebbe sottoposto al trattamento. 

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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