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Attività medica libero professionale in regime di intramoenia

Attività medica libero professionale in regime di intramoenia

La competente Corte d’Appello conferma la decisione del Tribunale che ha condannato un medico alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, oltre alla interdizione dai pubblici uffici per la medesima durata e alle conseguenti statuizioni civili a favore della ASL, in relazione al reato di cui agli artt. 81 secondo comma e 314 c.p., ritenendo provato che il sanitario nello svolgimento di attività medica libero professionale in regime di intramoenia allargata si è appropriato dal 2009 al 2012 della somma complessiva di euro 14.346,34 ricevuta da un numero imprecisato di pazienti e non versata alla struttura sanitaria alla quale spettava come quota parte per l'attività sopra indicata.

Il medico ricorre in cassazione deducendo che non è stato provato l’indebito incasso a suo esclusivo favore della somma in oggetto, la mancanza della qualifica di pubblico ufficiale avendo eventualmente agito in una situazione nella quale non rivestiva questa qualifica operando contra legem, il mancato riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di lieve entità e di quella di cui all’art. 323 bis c.p.

La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la recente sentenza n. 23905/2023, depositata il 31.05.23, giudica infondato il ricorso e pertanto conferma la sentenza di condanna impugnata.

La Suprema Corte osserva in particolare che originariamente era stata contestata al medico l’appropriazione di una somma che poi era stata ridotta nel suo ammontare in quanto la difesa dell’imputato aveva prodotto delle fatture in relazione ad alcuni pagamenti ricevuti da alcuni pazienti; che invece per altri incassi il medico non era stato in grado di opporre alcunché rispetto alle prove acquisite tramite le dichiarazioni di altri pazienti che avevano testimoniato di avere pagato in contanti la prestazione ricevuta; che il medico per episodi analoghi e precedenti a quelli oggetto del giudizio era già stato condannato per peculato; che la qualifica di pubblico ufficiale non può essere esclusa nella fattispecie perché le visite mediche incriminate sono state eseguite in ragione di un titolo che trovava origine nel rapporto tra l'imputato e la ASL e pertanto l'appropriazione nello svolgimento di tale attività delle somme di spettanza dell'ente pubblico integra l'elemento materiale del peculato; che l’attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui all’art. 323 bis c.p., ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenta una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato, mentre nella fattispecie il fatto era stato giustamente considerato di una complessiva gravità anche in ragione della sua abitualità; che, infine, l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62 n. 4 c.p.) è stata esclusa dal giudice di merito – con motivazione non illogica – in ragione del valore non irrisorio della singola prestazione professionale.

A cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano e magistrato tributario

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