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Mancato intervento di emergenza e responsabilità del chirurgo

Mancato intervento di emergenza e responsabilità del chirurgo

Un paziente il 26.12.2011 avverte un forte dolore toracico retro sternale accompagnato da dorsalgia che si irradia verso la zona lombare, dolore che gli impedisce di rimanere alla guida della propria autovettura. Trasportato presso un pronto soccorso, viene sottoposto ad accertamenti dai quali emerge una modesta anemia, un fortissimo aumento dei D-Dimeri e un aneurisma, ossia una dilatazione dell'aorta toracica discendente di ben 6,5 cm. 

Alle 22.30 del predetto giorno il malato veniva trasferito in codice rosso in ambulanza con assistenza rianimatoria e quattro sacche di sangue presso una clinica ove viene ricoverato nel reparto di terapia intensiva e sottoposto a trattamento con antidolorifici e anti pressori. 

Il 27.12.2011 il paziente viene ricoverato presso il reparto di cardiochirurgia della predetta clinica per la valutazione del trattamento chirurgico da eseguire. Il 28.12.2011, alle ore 10.30, viene sottoposto dal cardiologo emodinamista a esame coronarografico e angiotac che confermano la dilatazione di 6,4 cm dell'aorta discendente; viene quindi contattato il responsabile del reparto dr. KK che, assente per ferie, stabilisce di eseguire personalmente l'intervento chirurgico al suo rientro, il 04.01.2012. Purtroppo il 30.12.2011 si verifica il decesso del malato per rottura dell'aneurisma dell'aorta toracica discendente.

Il dr. KK viene sottoposto a giudizio per omicidio colposo con l’accusa di avere erroneamente qualificato non urgente il trattamento chirurgico, tranquillizzando i parenti sulla non necessità di un intervento imminente e l'assenza di rischi dalla conseguente attesa, limitandosi alla somministrazione di una terapia sintomatica del dolore e dell'ipertensione arteriosa che, peraltro, non aveva impedito l'insorgenza della rottura dell'aneurisma.

Il dr. KK viene condannato in primo grado alla pena di giustizia per il delitto di cui all’art. 589 c.p., con sentenza riformata in appello in quanto in questa sede il reato viene dichiarato prescritto, con conferma peraltro delle statuizioni civili già disposte in favore delle parti civili.

L’imputato ricorre in cassazione formulando una serie di motivi di critica alla sentenza d’appello.

La Corte di Cassazione, quarta sezione penale, con la recente sentenza n. 3390/2024, depositata il 29.01.24, respinge il ricorso, confermando quindi la correttezza della sentenza impugnata 

Osserva, in particolare, la Suprema Corte che pur non essendo stata svolta la richiesta perizia, deve ritenersi non decisivo questo incombente in quanto vi è stata nei giudizi di merito una ampia e approfondita analisi di tutti gli aspetti della vicenda clinica anche alla luce delle pertinenti linee guida che prevedono una gestione multidisciplinare del paziente cardiopatico (cd heart team) nel caso di specie non adottata, pur essendo necessaria stante l’assenza del dr. KK e tenuto conto delle condizioni critiche del paziente di cui era stato messo a conoscenza l’imputato; che il predetto chirurgo, contrariamente a quanto dedotto in sede di ricorso, aveva assunto una posizione di garanzia in seguito alla presa in carico del paziente e alla decisione presa di rinviare l’intervento; che correttamente è stato ritenuto sussistente il nesso causale tra la condotta del dr. KK e l’evento mortale, nesso che deve essere riferito alla data del 28.12.2011 quando il chirurgo prese in carico il paziente; che, infatti, in quel momento l’esecuzione del necessario intervento avrebbe sicuramente evitato il decesso, come ammesso anche dal CT dell’imputato.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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