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Mancata prova del ritardo diagnostico e della sua efficacia causale per carenze colpose della condotta del medico

Mancata prova del ritardo diagnostico e della sua efficacia causale per carenze colpose della condotta del medico

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 34427/2023, depositata il giorno 11.11.23, accogliendo il ricorso di una paziente avverso la sentenza d’appello che aveva ritenuto insussistente la prova tra il colposo ritardo diagnostico contestato a un medico in relazione a una patologia neoplastica, con conseguente rigetto della richiesta di risarcimento danni nei confronti del predetto professionista e della struttura sanitaria in cui era avvenuto il fatto illecito, ha affermato questo interessante principio di diritto: la giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità professionale sanitaria ha affermato che l'incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può e deve utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno, ciò per una ragione prima logica che giuridica, oltre che per il principio di vicinanza della prova; che questo principio di diritto ne sottende uno più generale, ossia quello per cui quando la mancata prova derivi dalle carenze colpose della condotta del medico, tipicamente omissive, e astrattamente idonee a causare il pregiudizio lamentato, quel “deficit” rileva non solo in punto di accertamento della colpa ma anche di quello del nesso eziologico, non potendo logicamente riflettersi a danno della vittima, sia pur in generale onerata della dimostrazione del rapporto causale.

La Cassazione, in sostanza, ha osservato che il giudice d’appello erroneamente ha ritenuto che non vi è la prova certa o nemmeno probabilistica di quale fosse lo stadio neoplastico nel momento del primo ricovero e delle cure effettuate dal medico (respingendo per questa considerazione la domanda risarcitoria, dato che la prova del nesso causale incombe sulla paziente) senza spiegare perché non rileva nell'accertamento eziologico il mancato completamento dell’indagine diagnostica che in tesi (anche secondo le ipotesi dei periti d’ufficio) avrebbe potuto far acquisire i dati istologici idonei a dettagliare grado e stadio della malattia, e dunque, in ipotesi, approntare una terapia che avrebbe potuto evitare le conseguenze iatrogene lamentate.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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