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Libertà del medico di stabilimento in altro Paese della UE e diritto alla conservazione del rapporto di lavoro in Italia

Libertà del medico di stabilimento in altro Paese della UE e diritto alla conservazione del rapporto di lavoro in Italia

La competente Corte d’Appello conferma la sentenza del Tribunale che ha respinto la domanda di un dirigente medico dell’ASL tesa a ottenere l’accertamento dell’illegittimità del diniego di aspettativa per espletamento di incarico a termine di aiuto ospedaliero presso un ospedale di Strasburgo, e, per l’effetto, la nullità della decadenza dall'impiego dichiarata dall'Azienda il 13.03.2014, con conseguente ripristino del rapporto di lavoro.

Il medico ricorre in cassazione deducendo vari profili di illegittimità della sentenza impugnata, tra cui anche quelli inerenti la mancata considerazione della rilevanza nella fattispecie dell’art. 39 del trattato UE.

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la recente ordinanza n. 1636/2024, depositata il giorno 16.01.24, osserva che l’art. 15-septies del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, recante “Riordino della disciplina in materia sanitaria”, riconosce (comma 4) al dirigente medico l’aspettativa senza assegni in caso di accettazione di incarico a tempo determinato nell'ambito del SSN; che, quindi, la disposizione, che si pone in rapporto di specialità con l’art. 23 bis d.lgs. n. 165/200, recante “Disposizioni in materia di mobilità tra pubblico e privato”, escluderebbe il diritto all'aspettativa per gli incarichi conferiti da struttura straniera nell'ambito del servizio sanitario, come quello assegnato al medico nella fattispecie; che, ancora, l’art. 10, comma 8, del CCNL integrativo (Area della dirigenza Ruoli SPTA del SSN del 2004) richiama, a sua volta, l’art. 23-bis del d.lgs. n. 165/2001 con riferimento agli incarichi conferiti da “organismi pubblici o privati dell’Unione Europea o da ospedali pubblici dei Paesi dell’Unione stessa”, consentendo il diniego dell’aspettativa laddove ravvisabili, “preminenti esigenze organizzative” dell’azienda d’appartenenza, a fronte delle quali il diritto del dipendente al libero stabilimento nell'Unione risulterebbe sacrificato, come avvenuto nella fattispecie alla luce del diniego di aspettativa supportato, secondo il giudice d’appello, dalla comprovata carenza di medici “chirurgicamente indipendenti” a svolgere procedure complesse e dall'esigenza di disporre di personale a tempo indeterminato a fronte di una crescita esponenziale di interventi chirurgici.

La Suprema Corte, inoltre, osserva che occorre esaminare la questione se una normativa come quella sopra richiamata non valga a integrare una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, potendo rivelarsi idonea a impedire o a dissuadere il dirigente medico dal lasciare lo Stato membro di origine per accettare un impiego in un altro Stato membro UE, tenendo presente che la normativa europea tutela il diritto alla libera circolazione del lavoratore, sottolineando peraltro che restrizioni alla liberà di stabilimento negli Stati membri dell’UE possono essere giustificate anche dall'obiettivo generale attinente alla tutela della sanità pubblica. 

La Cassazione, quindi, rinvia la causa a nuovo ruolo, riservandosi ogni decisione all'udienza pubblica che sarà fissata quanto prima.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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