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Infezione ospedaliera

Infezione ospedaliera

Un paziente cita in giudizio una Azienda Ospedaliera chiedendo il risarcimento dei danni subiti per avere contratto un’infezione da stafilococco aureo in occasione dell’intervento per coxartosi all'anca destra a cui era stato sottoposto in data 20.01.2010; infezione che era stata diagnosticata nel gennaio 2011 presso altro nosocomio e che aveva reso necessario un nuovo intervento (di mobilizzazione dell’anca) eseguito il 12.09.2011, sempre presso il primo ospedale.

Il Tribunale, espletata una C.T.U., accoglie la domanda, condannando l’Azienda convenuta al risarcimento dei danni non patrimoniali, quantificati in euro 81.909,00, oltre accessori. 

La sentenza di primo grado viene confermata in appello.

L’Azienda ospedaliera propone quindi ricorso per cassazione contestando tra l’altro l’esistenza del nesso di causalità tra l’operazione di protesizzazione d’anca e l’infezione sopravvenuta.

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 2951/2024, depositata il 31.01.24, rigetta il ricorso e condanna l’ASL al pagamento delle spese di lite.

Osserva, in particolare, la Suprema Corte che il giudice d’appello, anche richiamando stralci della C.T.U., con adeguata motivazione ha correttamente spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto provata la derivazione causale dell’infezione dalla mancata effettuazione della necessaria profilassi peri-operatoria; che, al riguardo, è stato sottolineato che le indagini ematologiche cui era stato sottoposto il paziente escludevano con certezza che vi fossero infezioni in atto al momento dell’intervento, mentre il tampone effettuato in occasione dell’intervento di mobilizzazione della protesi attestava una positività batterica da stafilococco aureo (tipico delle sepsi nosocomiali); che così sono state giustamente escluse ipotesi causali alternative a quella sostenuta dal C.T.U., anche in considerazione del fatto che “il lasso temporale intercorso, tra esecuzione dell’intervento di protesi e insorgenza dell’infezione, non è affatto anomalo, ma anzi risulta caratteristico del tipo di processo infettivo in concreto insorto”.

D’altra parte il C.T.U. nella sua relazione non si era limitato ad affermare di non poter condividere, in quanto apodittiche e non provate, le note critiche della C.T.U. dell’Ospedale, ma aveva premesso a tale conclusione le ragioni che lo inducevano a non aderire alle note critiche.

La Cassazione afferma, infine, che il giudice d’appello la Corte ha fatto corretta applicazione del principio della probabilità prevalente, secondo cui, in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilità civile, qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare dal novero delle ipotesi valutabili quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l'impredicabilità di un'aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di “probabilità prevalente”.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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