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Diritto alla privacy e dovere informativo posto a carico della casa di cura

Diritto alla privacy e dovere informativo posto a carico della casa di cura

Nel 2009 viene notificato dalla Guardia di Finanza a una casa di cura un verbale di contestazione amministrativa per violazioni al d.lgs. n. 196 del 2003 (codice privacy), per aver effettuato, da epoca anteriore al 01.01.04, trattamenti di dati personali senza la prevista notificazione al Garante della Privacy (nelle forme e secondo le modalità stabilite) e per aver reso agli interessati un’informativa non comprendente tutti gli elementi richiesti dal predetto codice per il trattamento dei dati personali posto in essere sul proprio sito internet mediante un “form” accessibile tramite gli appositi link per i “Servizi online” e per “Le prestazioni e i poliambulatori”, al fine di consentire agli utenti la prenotazione di visite mediche.

Il Garante, esaminate le difese della società, emise quindi un’ordinanza-ingiunzione a carico della stessa, comminando le sanzioni di 6.000,00 euro per la violazione dell’art. 161 d.lgs. 196/03 (“Omessa o inidonea informativa all'interessato”) e di 20.000,00 euro per quella dell’art. 163 d.lgs. cit. (“Omessa o incompleta notificazione”).

La casa di cura si oppose all'ingiunzione e il competente Tribunale accolse le ragioni esposte limitatamente al profilo dell’omessa notificazione del trattamento dei dati, ritenendo che la condotta, per quanto pacifica, fosse connotata da buona fede, avendo la società omesso la notifica in ottemperanza a una circolare dell'AIOP secondo la quale le associate dovevano considerarsi esonerate dal relativo obbligo.

La Corte di Cassazione, prima sezione civile, con la recente sentenza n. 26989/2023, depositata il giorno 21.09.23, ha accolto il ricorso avanzato dal Garante e ha annullato la decisione impugnata con rinvio ad altro giudice che dovrà riesaminare la questione attenendosi al principio di diritto attestato dai giudici di legittimità che hanno affermato che “ai fini dell’esonero da responsabilità per l’illecito amministrativo non basta il convincimento ingenerato dal parere di un’associazione di categoria, ma è necessario accertare la mancanza di colpa dell’autore della violazione”.

La Suprema Corte ha aggiunto che l’art. 3 della legge n. 689/1981 sull'illecito amministrativo “postula una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, non essendo necessaria la concreta dimostrazione del dolo o della colpa” e che, quindi, sull’autore dell’illecito grava l'onere della dimostrazione di aver agito senza colpa, mentre l'esimente della buona fede assume rilievo solo in presenza di elementi positivi idonei a ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità del suo operato, sempre che l’errore sia incolpevole e inevitabile, in quanto determinato da un elemento estraneo alla condotta e non ovviabile con l’ordinaria diligenza o prudenza.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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