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Autocertificazione Covid e falso ideologico ex art. 483 c.p.

Autocertificazione Covid e falso ideologico ex art. 483 c.p.

Due persone, sottoposte a controllo da parte delle Forze dell'Ordine nella vigenza della normativa per il contenimento del contagio da Covid-19, attestavano, ciascuno nella relativa autocertificazione, di trovarsi fuori dalla propria abitazione a causa di circostanze risultate non corrispondenti al vero.

Sottoposte a processo penale con la contestazione di falso ideologico ex art. 483 c.p. i due imputati vengono assolti dal Tribunale che ritiene che la loro autocertificazione non era destinata a confluire in un atto pubblico in quanto la relazione compilata dai militari in occasione del controllo non può essere qualificata come atto pubblico in quanto i predetti si erano limitati a riportare il contenuto di quanto attestato dagli interessati.

Ricorre in cassazione il Procuratore Generale sostenendo l’erroneità per violazione di legge della decisione del Tribunale. 

La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con la recente sentenza n. 35276/2023, depositata il giorno 21.08.23, ritiene fondato il ricorso della pubblica accusa e, quindi, annulla la decisione impugnata con rinvio ad altro giudice che dovrà attenersi ai principi indicati dai giudici di legittimità.

La Corte, in particolare, osserva che la fattispecie riguarda due soggetti che in occasione di un controllo da parte dei militi attestavano circostanze risultate non corrispondenti al vero al fine di giustificare la loro presenza per strada per ragioni e in orari non consentiti dalla normativa di contenimento della pandemia da Covid-19; che è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico la condotta di colui che dichiara il falso in sede di dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell'art. 47 d.P.R. n. 445 del 2000; che quindi questa fattispecie è punibile ex art. 483 c.p. attesa l'evidente e specifica funzione probatoria della dichiarazione resa ai sensi della predetta norma che è diretta a dimostrare fatti che sono nella diretta conoscenza dell'interessato e che solo quest'ultimo può documentare, fatti dei quali il pubblico ufficiale prende semplicemente cognizione attraverso l'attestazione del privato, tenuto all'obbligo di verità.

Aggiunge la Suprema Corte che se è vero che è inviolabile il diritto di difesa e che sussiste il diritto di non autoaccusarsi, deve osservarsi che il principio del nemo tenetur se detegere si qualifica come diritto di ordine processuale che non dispiega i suoi effetti al di fuori del processo penale, ma opera esclusivamente nell'ambito di un procedimento penale già attivato; che quindi il principio processuale del nemo tenetur se detegere non può essere validamente invocato nel caso di compilazione mendace dell'autocertificazione, trattandosi di una dichiarazione di rilievo meramente amministrativo e che non costituisce ex se una denuncia a proprio carico; che infatti solo in via eventuale possono seguire accertamenti in merito alla veridicità o meno dei fatti attestati nell’autocertificazione e alla loro possibile rilevanza penale.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano e magistrato tributario

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