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Valore probatorio del certificato medico

Valore probatorio del certificato medico

Un donna cita in giudizio la compagnia di assicurazione con la quale aveva stipulato una polizza contro i rischi di invalidità derivante da malattia sostenendo di avere contratto una patologia (alcaptonuria) che aveva comportato la riduzione della sua capacità di deambulare, con postumi permanenti nella misura del 65% che l’assicuratrice si era ingiustamente rifiutata di indennizzare.

La sua domanda viene rigettata per infondatezza in primo grado con sentenza confermata in appello.

La Corte d’Appello, in particolare, ritiene che non vi sono agli atti elementi idonei a provare l’esistenza della malattia denunciata, i postumi permanenti lamentati e il nesso causale tra la prima e i secondi, precisando che i certificati rilasciati dai medici liberi professionisti e prodotti dall’interessata hanno un valore solo indiziario e non erano comunque supportati dalla necessaria documentazione clinica.

La donna ricorre in cassazione sostenendo l’erroneità della predetta decisione avendo provato il suo diritto all’indennizzo richiesto.

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente ordinanza n. 8356/2023, depositata il 24.03.23, rigetta il ricorso in oggetto, confermando così la correttezza della decisione impugnata.

La Suprema Corte, in particolare, sottolinea che i giudici di merito hanno respinto la domanda dell’attrice in quanto hanno ritenuto irrilevanti le certificazioni depositate, inidonee in mancanza di ulteriori elementi clinici a fornire la prova del vantato diritto all’indennizzo in conformità alla giurisprudenza di legittimità in base alla quale le diagnosi ivi indicate costituiscono elementi di convincimento del sanitario liberamente valutabili in sede di giudizio.

In sostanza il medico che redige un certificato contenente una diagnosi esprime una sua valutazione che necessita di elementi di supporto che la possono validamente convalidare, elementi nel caso di specie ritenuti mancanti dai giudici di merito che hanno motivatamente respinto la domanda della donna giudicandola infondata, senza necessità di disporre una consulenza medico-legale ritenuta inutile alla luce della carente documentazione prodotta da chi aveva l’onere di provare i fatti dedotti a sostegno della pretesa azionata.

A cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano e magistrato tributario

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