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Suicidio in un ospedale psichiatrico giudiziario - OPI

Suicidio in un ospedale psichiatrico giudiziario - OPI

La competente Corte d’Appello con sentenza del 2020 conferma la decisione del Tribunale che aveva rigettato la domanda di risarcimento proposta nei confronti del Ministero della Giustizia dal padre che aveva chiesto il ristoro dei danni non patrimoniali patiti in conseguenza della morte del figlio suicidatosi mediante impiccagione il giorno 11.12.08 mentre era detenuto presso un ospedale psichiatrico giudiziario (OPI).

L’attore aveva inutilmente lamentato che la struttura ospedaliera penitenziaria non aveva adeguatamente sorvegliato il figlio, nonostante che il quadro clinico del detenuto denunciasse una situazione di pericolo per la sua incolumità che avrebbe richiesto assidua vigilanza e adozione di misure cautelative.

I giudici di merito, in base alla CTU espletata in primo grado avevano escluso che dalla istruttoria esperita emergesse il rischio specifico di condotta autolesiva, tale da rendere necessaria l’adozione di misure di contenimento fisico o di piantonamento continuativo del detenuto nella struttura ove era ricoverato, struttura che presentava tutti i requisiti tecnici e organizzativi previsti dalla legge per operare, senza che fosse stata denunciata alcuna specifica violazione della normativa di settore.

Il padre ricorre in cassazione sostenendo che non era stato tenuto in debito conto quanto affermato dal CTU in relazione a un comportamento erroneo tenuto dagli psichiatri durante la detenzione.

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 22970/2024, depositata il 20.08.24, respinge il ricorso, confermando la sentenza impugnata.

La Suprema Corte osserva, in particolare, che le circostanze dedotte a sostegno del ricorso erano già state adeguatamente esaminate dai giudici di merito che avevano ritenuto che non avevano avuto efficienza causale nel provocare il suicidio; che il giovane detenuto era stato sottoposto costantemente ad adeguato trattamento terapeutico farmacologico e ad assidue visite psichiatriche e, senza emersione di viraggio peggiorativo della sintomatologia psicopatologica; che, infatti, anche dall’ultima visita di controllo effettuata, con somministrazione del test BPRS, ossia otto giorni prima del suicidio, “era emerso un quadro clinico stazionario e l’assenza di rischio suicidario sino a tale data; che, pertanto, è stata specificatamente esclusa la prevedibilità ex ante della condotta che ha portato alla morte del detenuto, rilevando l’impossibilità di contestare ai sanitari e alla struttura penitenziaria in genere la mancata adozione delle necessarie cautele”.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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