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Riparazione per ingiusta detenzione

Riparazione per ingiusta detenzione

Un infermiere ricorre in cassazione avverso l’ordinanza con la quale la Corte d’Appello ha rigettato la sua domanda diretta a ottenere la riparazione per ingiusta detenzione in relazione alla privazione della libertà subita nell'ambito di un procedimento in cui era indagato per i reati di agli artt. 580 e 643 c.p.

La Corte d’Appello, nel respingere la suddetta domanda, ha ritenuto sussistente la condotta “ostativa” ascrivibile all'infermiere sottolineando, tra l’altro, che il procedimento penale era nato da un esposto presentato anche dal direttore sanitario di una casa di cura privata in cui si rappresentava che uno degli anziani ospiti della struttura, con problemi psichiatrici e sottoposto a terapia farmacologica, era stato ricoverato nella notte del 19 ottobre 2012 con gravi problemi respiratori e stato di coma; che una volta ripresa conoscenza, il paziente aveva riferito di essersi accordato con l’infermiere in questione, operante nella struttura, affinché gli somministrasse un farmaco idoneo a provocarne il decesso, offrendo in cambio di tale prestazione una cospicua somma di denaro nonché la stipulazione in suo favore di una polizza sulla vita; che l’infermiere, pur essendo stato assolto con formula piena, aveva tenuto un comportamento che aveva creato nell'autorità giudiziaria l'erronea rappresentazione di un atteggiamento volto ad approfittare della generosità del paziente assistito.

La Corte di Cassazione, quarta sezione penale, con la recente sentenza n. 42268/2022, depositata il 09.11.22, rigetta il ricorso dell’infermiere, condannandolo al pagamento delle spese processuali. 

La Suprema Corte osserva che per consolidata giurisprudenza la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo per l’ingiusta detenzione in tesi subita è rappresentata dall'avere il richiedente dato causa alla carcerazione con un comportamento doloso o gravemente colposo, anche extraprocessuale; che nel caso di specie è risultato provato che ogni qualvolta l’infermiere faceva notare al paziente la necessità di dovere sostenere delle spese, quest'ultimo gli procurava notevoli somme di denaro in contante che venivano consegnate “brevi manu” all'interno della struttura; che, inoltre, è risultata provata la sottoscrizione da parte del paziente di una polizza vita di notevole importo che aveva come beneficiario l’infermiere; che, pertanto, giustamente è stato ritenuto ostativo al riconoscimento del diritto all'indennizzo richiesto il comportamento gravemente colposo tenuto dall'infermiere nei confronti del paziente, ammalato nel fisico e nella mente.

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