Responsabilità civile per intervento rischioso e dannoso
- 21 Nov, 2024
- News , Giurisprudenza Sanitaria , Chirurgia , Medicina Legale

Un soggetto, poiché avvertiva dolori persistenti alla schiena, dopo aver effettuato una risonanza magnetica si rivolge alle cure di un medico (XX) che diagnostica una lombosciatalgia, priva di interessamento neurologico ed esclude la necessità di un intervento chirurgico.
Persistendo i dolori, il paziente consulta un secondo specialista (KK) che formula la diagnosi di ernia discale bilaterale e consiglia l'intervento chirurgico.
Seguendo questa indicazione, il paziente si ricovera presso una clinica accreditata con il servizio sanitario nazionale dove viene informato verbalmente dal dottor (ZZ) della natura dell'intervento cui stava per essere sottoposto e della possibilità, sia pure rarissima, che dall’operazione sarebbero potuti derivare danni permanenti al sistema nervoso.
L'intervento viene effettuato dai dottori (KK e ZZ) e sin dai primi giorni successivi il paziente comincia ad accusare difficoltà nella minzione e poi difficoltà nella deambulazione, fino a subire la paresi degli arti inferiori, confermata da un successivo ricovero presso vari ospedali.
Dall'intervento in questione deriva in definitiva una invalidità del 100% e altresì una sindrome depressiva secondaria, con successiva dimissione dal lavoro.
Il paziente evoca in giudizio la clinica e i dottori (KK e ZZ) chiedendo di essere risarcito per i danni patiti.
La domanda viene accolta in primo grado, all’esito di una C.T.U. che accerta la responsabilità medica dei convenuti non solo per l'erronea esecuzione dell'intervento ma anche per avere scelto di effettuare un intervento chirurgico anziché un trattamento non invasivo.
Il giudice d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, respinge invece la domanda del paziente ritenendo insussistente il nesso di causalità tra la condotta dei medici e l’evento verificatosi.
La sentenza di secondo grado viene impugnata in cassazione dal paziente che contesta la correttezza dell’operato del giudice d’appello, evidenziando specificamente l’errore commesso nella valutazione del nesso causale.
La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 25825/2024, depositata il 27.09.24, accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e rinvia per un più approfondito esame ad altro giudice di secondo grado.
Osserva, per quello che interessa in questa sede, la Suprema Corte, che il giudice d’appello, con una motivazione errata in punto ragionamento controfattuale, ha escluso il nesso di causalità tra la contestata condotta medica e il danno conseguito escludendo ingiustamente la rilevanza causale della scelta di procedere all’operazione chirurgica e soffermandosi invece solo su un altro aspetto, quello relativo al fatto che l’intervento non invasivo o conservativo non avrebbe certamente portato alla guarigione.
In sostanza l'errore di ragionamento controfattuale sta nel fatto che l'efficacia causale dell’antecedente, ossia la scelta del tipo di intervento da effettuare, se chirurgico o meno, non andava valutata rispetto all'evento guarigione, ma rispetto all'evento concretamente verificatosi di danno permanente subìto dal paziente.
Evento che certamente un intervento conservativo avrebbe evitato.
D’altra parte “non v’è dubbio che non guarire dalla lombosciatalgia è evento diverso dal subire la paralisi”.
a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano