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Protesi d'anca difettosa e profili di responsabilità della società produttrice

Protesi d'anca difettosa e profili di responsabilità della società produttrice

Un paziente cita in giudizio la società produttrice delle protesi d’anca metallo su metallo che gli erano state impiantate presso la divisione di ortopedia di un Ospedale (ove era stato sottoposto a una capsulectomia, alla resezione del collo del femore e all'impianto di artoprotesi totale), protesi rivelatesi difettose e causa di danni per problemi di tipo meccanico associati a effetti tossici sistemici (dovuti all’incremento soprattutto di cobalto e di cromo nel torrente circolatorio) di cui chiede il risarcimento.

La relativa domanda viene respinta sia in primo sia in secondo grado.

Il giudice d’appello, in particolare, afferma che l’art. 126 d.lgs. 206/2005 era stato correttamente applicato dal Tribunale, il quale aveva individuato il dies a quo del termine biennale di decadenza nella data di immissione in commercio del prodotto difettoso, facendolo coincidere con quello in cui la seconda protesi d’anca era stata impiantata; che il paziente non aveva subito alcuna lesione del suo diritto di difesa in quanto aveva avuto due anni per agire in giudizio per evitare di incorrere nella decadenza avendo avuto consapevolezza della difettosità delle protesi già nel novembre del 2011, quando gli era stata diagnosticata l’osteolisi periprotesica del femore prossimale; che comunque egli stesso aveva allegato che nel 2012 aveva sostituito le protesi; che, per quanto concerne la domanda ex art. 2043 c.c., non vi era prova che la produttrice conoscesse il difetto del prodotto quando lo aveva immesso in commercio; che, del resto, lo stesso appellante aveva riconosciuto che prima del 2010 non vi erano evidenze scientifiche del difetto e, quindi, non vi erano elementi per ritenere la società colpevole, neppure sotto il profilo del principio di precauzione; che l’illecito sarebbe stato comunque di natura istantanea, perché la condotta asseritamente illecita si era esaurita con l’installazione della protesi; che non era ipotizzabile una responsabilità da contatto sociale, essendo mancato ogni contatto tra l’appellante e la società produttrice delle protesi. 

Ricorre in cassazione il paziente deducendo una serie di motivi per contrastare la decisione dei giudici di merito, tra i quali quello relativo alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043, 2697 c.c., 112 e 115 c.p.c. dedotto anche in relazione al mancato invito nei suoi confronti a sottoporsi a controlli ed eventuali revisioni una volta conosciuta l’esistenza di difetti nelle protesi di cui si discute.

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 7629/2025, depositata il giorno 21.03.25, accoglie solo quest’ultimo motivo affermando che il giudice di secondo grado chiamato a verificare la sussistenza dei presupposti per dichiarare responsabile la società ai sensi dell’art. 2043 c.c., ha omesso di tener conto del fatto che almeno a partire dal 2010 la produttrice era nella condizione di prevedere/evitare se non il danno, almeno la sua ingravescenza; che, in sostanza, una volta scoperto il difetto delle protesi era esigibile da parte sua, con uno sforzo proporzionato alla sua capacità, l’obbligo di impedire il verificarsi e/o l’aggravarsi del danno.

La sentenza è stata quindi cassata in relazione al motivo accolto sul quale dovrà pronunziarsi il giudice al quale è stato rinviato il processo per un più approfondito esame della questione. 

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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