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Prolungamento non giustificato di una contenzione meccanica in un ospedale italiano

Prolungamento non giustificato di una contenzione meccanica in un ospedale italiano

La prima sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con la recente sentenza depositata il 07.11.24 (application n. 8436/21), nell’accogliere la domanda di risarcimento del danno subito da un paziente in seguito a un prolungamento privo di giustificazione di una contenzione meccanica sul suo corpo per la durata di circa 7 giorni, ha condannato lo Stato italiano al pagamento in suo favore della somma di euro 41.600,00 (oltre spese legali) per violazione dell’art. 3 della relativa Convenzione che stabilisce che “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Il caso esaminato dalla Corte riguarda un cittadino italiano che il 30.09.14 è stato ricoverato volontariamente in un reparto psichiatrico di un nosocomio per suoi problemi di salute; successivamente in data 07.10.24 è stato disposto dai curanti un T.S.O. con applicazione di una contenzione meccanica in seguito a un comportamento violento e aggressivo del malato. 

La CEDU, premesso che può essere considerata giustificata la prima effettuazione della contenzione, afferma che non risulta che il successivo prolungamento della misura di contenimento sia avvenuto per il periodo strettamente necessario allo scopo di prevenire un danno immediato o imminente a sé stesso o altri; che, invero, compete allo Stato dimostrare in modo convincente che tale indispensabile condizione sia stata soddisfatta; che, infatti, l’esistenza di un pericolo “potenziale” non è sufficiente per stabilire che tale pericolo sia immediato o imminente; che, in sostanza, il pericolo che può giustificare la contenzione deve essere specifico, presente e dimostrabile; che, d’altra parte, la Corte di Cassazione (sentenza n. 50497/2018) ha escluso la legittimità dell'uso della contenzione meccanica su base “precauzionale” perché il pericolo deve essere chiaro e attuale (non latente) e deve anche essere concretamente dimostrato in modo preciso e dettagliato nonché descritto nella documentazione clinica dal medico la dispone; che nel caso di specie non risultano indicate nella documentazione clinica in modo chiaro e dettagliato l’esistenza delle condizioni che avrebbero potuto legittimare il prolungamento della contenzione, con conseguente violazione della dignità umana del malato sottoposto a una inutile sofferenza. 

La CEDU, inoltre, sottolinea la lunghezza del procedimento instaurato davanti agli organi della giustizia italiana in seguito alla denuncia presentata dall’interessato nel 2015, archiviata poi nel 2020 dal G.I.P. su richiesta del P.M. essendo stato escluso che i medici avessero agito in modo non conforme alle necessità contingenti; che, infatti, il G.I.P. ha ritenuto che i sanitari non si erano discostati dalle linee guida e dai protocolli applicabili nel caso specifico dato che il paziente si trovava in uno stato persistente di aggressività verso gli altri, sia prima che durante il ricovero.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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