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Maggiorenne oligofrenico in tesi sottoposto a un intervento non preceduto dalla raccolta di un valido consenso informato

Maggiorenne oligofrenico in tesi sottoposto a un intervento non preceduto dalla raccolta di un valido consenso informato

Il fratello e la cognata di una persona sottoposta a intervento chirurgico e deceduto per complicanze insorte durante il predetto atto medico agiscono in giudizio nei confronti dell’ospedale dove era stato eseguito l’intervento chiedendo il risarcimento dei danni patiti secondo la loro tesi per la cattiva assistenza e per la mancanza di valido consenso informato.

La loro domanda viene rigettata per infondatezza in primo grado con sentenza confermata in appello.

La Corte d’Appello, in particolare, esclude che l'intervento chirurgico in esame sia stato eseguito in assenza di un valido consenso (nella specie prestato dagli stessi attori, essendo emersa l'incapacità del paziente di esprimerlo personalmente in modo cosciente e volontario), ed essendo per altro verso risultato che le complicanze che condussero al decesso del paziente non fossero in alcun modo riconducibili a una causa imputabile ai sanitari della struttura ospedaliera convenuta.

I predetti attori ricorrono quindi in cassazione sostenendo in sostanza che l’intervento, male eseguito, non era stato validamente assentito in quanto non era urgente e pertanto doveva essere attivata la procedura per la nomina giudiziale di un rappresentante pienamente legittimato all'espressione del consenso informato, unitamente all'interessato.

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 5382/2023, depositata il 21.02.23, dichiara inammissibile il ricorso in oggetto, confermando così la correttezza della decisione impugnata.

La Suprema Corte, in relazione alla contestazione sollevata con riferimento alla pretesa incongruità della motivazione della sentenza impugnata, osserva che le argomentazioni elaborate dal giudice d'appello a sostegno della decisione assunta risultano del tutto immuni da vizi, in quanto pienamente coerenti, comprensibili e del tutto idonee a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito; che, infatti, il giudice d’appello ha sottolineato che, alla luce della documentazione versata in atti, il paziente (soggetto ben noto ai sanitari del nosocomio in cui fu operato) era affetto da una grave oligofrenia sin dalla nascita e aveva contratto, sin dall'età infantile, le patologie analiticamente richiamate in motivazione; che conseguentemente era in uno stato di totale incapacità, benché non interdetto, come peraltro confermato dalla circostanza che ogni rapporto con i sanitari, dalla fase dei colloqui iniziali fino alla sottoscrizione del consenso per l’intervento in questione, era stato intrattenuto, come in ogni altra precedente occasione, dai parenti, i quali non avevano mai chiesto ai sanitari di rivolgersi direttamente al congiunto ritenendolo capace di esprimere una volontà consapevole. 

La Suprema Corte, inoltre, afferma che anche se in ipotesi fosse fondata la tesi dei ricorrenti sul carattere non urgente dell’intervento eseguito non potrebbe essere accolta la domanda di risarcimento del lamentato danno da omessa acquisizione di un valido consenso in quanto non era stato evidenziato che se correttamente informato, il paziente (o chi per lui), avrebbe certamente negato il proprio consenso all'esecuzione dell'intervento; che, d’altra parte, grava sul malato (o su chi lo appresenta) l’onere di dimostrare che si sarebbe discostato dalle indicazioni terapeutiche dei curanti, eventualità non rientrante nell'id quod plerumque accidit, cioè in quello che di norma accade.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano e magistrato tributario

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