Limiti alla corresponsabilità civile del medico
- 06 Feb, 2025
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La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 28642/2024, depositata il giorno 07.11.24, nell’accogliere il ricorso di una compagnia di assicurazione avverso una sentenza d’appello che aveva ritenuto fondata l'azione di rivalsa proposta da una clinica nei confronti di un medico suo assicurato, quantificando nella misura del 100% la quota interna di responsabilità imputabile al predetto sanitario per un intervento che aveva causato danni ad una paziente, ha affermato il seguente principio di diritto: nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico di cui quella si sia avvalsa, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest'ultimo deve essere di regola ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, secondo comma, e 2055, terzo comma, cod. civ., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all'utilizzazione di terzi per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un'eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile, e oggettivamente improbabile, devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell'obbligazione.
Pertanto, in caso di accertata responsabilità derivante esclusivamente dalla carente esecuzione della prestazione del professionista (e non anche da carenze organizzative della struttura sanitaria), la struttura sanitaria può agire in rivalsa nei confronti del medico ritenuto responsabile, ma non per l’intero importo, bensì fino a un massimo del 50% perché si considera che l'errore medico sia riconducibile in parte (nella misura del 50%) al rischio di impresa, e come tale in questa percentuale deve rimanere a carico della struttura sanitaria all’interno della quale questi ha svolto la sua attività.
Si deroga a questa regola di ripartizione interna della responsabilità soltanto nei casi in cui la responsabilità del medico debba essere considerata assorbente, con ciò intendendo far riferimento non alle ipotesi di gravi manchevolezze nell’esecuzione delle prestazioni professionali quanto a un comportamento fuori dall’ordinario, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile e come tale scisso da ogni possibilità di controllo e prevenzione da parte della struttura e di conseguenza non addebitabile nella sue conseguenze economiche, neppure in parte, alla struttura sanitaria.
L’onere di provare l’assorbente responsabilità del medico (intesa non solo come grave, ma anche come straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile malpractice) grava sulla struttura sanitaria.
A cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano