Blog

Infermiere assolto dal delitto di falso in atto pubblico confessato alla polizia giudiziaria con dichiarazione inutilizzabile per vizio di procedura

Infermiere assolto dal delitto di falso in atto pubblico confessato alla polizia giudiziaria con dichiarazione inutilizzabile per vizio di procedura

Un infermiere in servizio presso una clinica convenzionata con il servizio sanitario nazionale redige una annotazione falsa sul modulo di gestione della cartella clinica di una paziente scrivendo di aver effettuato una misurazione dei parametri vitali alle ore 6,30 del 12/12/2016, misurazione che in realtà non aveva mai compiuto dato che a quell'ora la paziente era già deceduta.

Il Giudice per l'udienza preliminare assolve l’infermiere dal delitto di falso ideologico aggravato contestato (artt. 479 e 476 secondo comma, c.p.) ritenendo provato il fatto, perché ammesso dall'imputato nel corso di indagini; tuttavia, ne esclude la rilevanza penale osservando che l'atto falsificato (il c.d. "modulo di gestione") aveva valenza meramente interna e privata.

La Corte di appello conferma l'assoluzione, ma per ragioni diverse.

Il giudice d’appello, infatti, riconosce la natura pubblicistica dell'atto falso, ma dichiara inutilizzabile ai sensi dell'art. 63, comma 1, c.p.p. l'unica prova a carico dell'imputato costituita dalle ammissioni contenute nel verbale di sommarie informazioni raccolto dalla polizia giudiziaria in data 08/02/2018, quando il professionista era stato chiamato a deporre - nella veste di persona informata sui fatti, quindi con obbligo di presentarsi, di rispondere e di dire la verità - per rendere sommarie informazioni nell'ambito delle indagini in corso a carico di ignoti per il delitto di omicidio colposo ai danni della suddetta paziente.

La sentenza d’appello viene impugnata dal Procuratore Generale che sostiene che l’infermiere, sentito a sommarie informazioni nell'ambito del procedimento a carico di ignoti volto ad accertare l'ipotesi di omicidio colposo, aveva effettuato una dichiarazione “spontanea” utilizzabile in sede di giudizio abbreviato perché non provocata dagli inquirenti. 

La Suprema Corte, quinta sezione penale, con la recente sentenza n. 16285/2023, depositata il 17.04.23, dichiara inammissibile il ricorso della pubblica accusa (perché basato su un vizio di procedura non deducibile in quanto relativo a questione di puro diritto) e comunque lo respinge perché manifestamente infondato.

Osserva la Cassazione che l'art. 63, comma 1, c.p.p. stabilisce che “Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese”; che, pertanto, giustamente il giudice d’appello aveva ritenuto non utilizzabili le dichiarazioni rese dall’infermiere convocato non come indagato (non esistendo a suo carico alcun indizio di reato), ma come persona informata sui fatti, quindi con obbligo di presentarsi, di rispondere e di dire la verità.

La norma sopra richiamata appare evidentemente ispirata al principio del “nemo tenetur se detegere” che esclude che qualcuno possa essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale.

A cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano e magistrato tributario

group_work Consenso ai cookie

Accedi

Megamenu

Confronta0Lista dei desideri0

Il tuo Carrello

Non ci sono prodotti nel carrello