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Fatale errore nella cardioplegia

Fatale errore nella cardioplegia

Un cardiochirurgo ricorre in cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che ha confermato la condanna a un anno e otto mesi di reclusione e al risarcimento dei danni inflittagli dal giudice di primo grado in relazione al delitto di omicidio colposo in danno di una paziente sottoposta a un intervento chirurgico di urgenza di sostituzione valvolare aortica con homograft n. 22 con riempimento degli osti coronarici e sostituzione valvolare mitralica con bioprotesi nel corso del quale, a causa di una non corretta somministrazione della terapia farmacologica funzionale ad arrestare intenzionalmente e temporaneamente il cuore, si era verificata una sofferenza cardiaca con danni al miocardio che aveva provocato il decesso dell’assistita.

La Suprema Corte, quarta sezione penale, con la recente sentenza n. 48222/2022, depositata il 20.12.22, annulla la condanna penale in quanto dichiara prescritto il delitto contestato, ma respinge il ricorso agli effetti civili, così confermando la condanna al risarcimento dei danni.

La Cassazione - dopo avere premesso che il giudice di primo grado ha addebitato al medico una condotta imperita nel corso della cardioplegia per la somministrazione per via retrograda del farmaco utilizzato e un comportamento imprudente nell’uso di quantitativi inadeguati di cardioplegia, mentre nella sentenza d’appello si è fatto riferimento a una infusione sottostimata di farmaci e alla mancata valutazione della complicazione determinata dall'assenza di adeguata protezione del cuore – afferma che i giudici di merito hanno correttamente individuato i profili di colpa e giustamente accertato il nesso causale tra la condotta colposa e l’evento provocato da un’ischemia miocardica acuta emersa nell’esame autoptico e dovuta a una procedura di cardioplegia che era stata somministrata in quantitativi e modalità tali da non garantire l’ottimale protezione del tessuto miocardico, come indicato nella perizia collegiale disposta. 

I giudici di legittimità hanno ribadito che per accertare l'esistenza del nesso di causa, in base al disposto degli artt. 40 e 41 c.p., occorrono due elementi: il primo, positivo, secondo il quale la condotta umana deve aver posto una condizione dell'evento; il secondo, negativo, per cui il risultato non deve essere conseguenza dell'intervento di fattori eccezionali; che, quando si tratta di condotte omissive, il primo elemento si rivela nella regola cautelare violata se l'evento - secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico - rappresenta la concretizzazione certa o altamente probabile del rischio creato dal sanitario che riveste la posizione di garanzia. 

I predetti giudici hanno inoltre affermato che giustamente i giudici di merito hanno ritenuto non lieve la colpa del chirurgo così escludendo l’applicabilità della legge n. 189/2012 che ha depenalizzato le condotte sanitarie connotate da colpa lieve; che, d’altra parte, il caso di specie (come ammesso dallo stesso imputato) non era regolato da linee guida e buone pratiche uniformi e, quindi, in ogni caso doveva essere ritenuta inapplicabile la suddetta normativa.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano e magistrato tributario

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