Diritto alla salute e partecipazione ad associazione mafiosa
- 14 Nov, 2024
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Il competente Tribunale, in qualità di Giudice del riesame, con una sua ordinanza, previa riqualificazione del fatto provvisoriamente contestato come partecipazione all'associazione mafiosa "Cosa Nostra" (art. 416-bis cod. pen.) in favoreggiamento personale aggravato (artt. 378, commi 1 e 2; 384-ter; 416-bis.1, cod. pen.), sostituisce la misura della custodia cautelare in carcere, già applicata a un tecnico di radiologia, con quella degli arresti domiciliari.
Il provvedimento viene impugnato dal Procuratore della Repubblica che contesta l’operato del Tribunale osservando che l'indagato ha prestato in più occasioni assistenza sanitaria a un noto latitante, pur consapevole del fatto che questi era ricoverato nell'ospedale sotto falso nome; che nell’ordinanza non viene spiegato perché la condotta di assistenza sanitaria sarebbe priva di rilievo penale (se perché atipica oppure non antigiuridica), ponendosi oltretutto in contrasto con l'insegnamento della Corte di legittimità; che non risulta attribuito il necessario rilievo al fatto che il sanitario ha consegnato un cellulare con nuova utenza al latitante durante la degenza post-operatoria dell’interessato (posto a capo di un gruppo mafioso) che così ha potuto effettuare chiamate e inviare messaggi a chiunque; che, infine, il Tribunale dopo avere giudicato le esigenze cautelari “di particolare intensità”, in ragione della “particolare gravità della condotta dell’indagato” che ha manifestato una “allarmante disponibilità nei confronti del sodalizio mafioso”, ha ritenuto, in modo contraddittorio, superabile la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la recente sentenza n. 39111/2024, depositata il 24.10.24, annulla il provvedimento impugnato e rinvia per un nuovo giudizio al Tribunale competente indicando le circostanze meritevoli di ulteriori accertamenti in sede di merito e anche gli aspetti giuridici della vicenda che necessitano di una adeguata motivazione.
Preliminarmente la Suprema Corte afferma che giustamente il Tribunale del riesame ha escluso che configurino reato le mere condotte di assistenza sanitaria prestate dall'indagato, tecnico radiologo presso un ospedale, a favore del soggetto latitante a suo tempo ricoverato presso la medesima struttura; che, infatti, la fruizione di assistenza sanitaria rientra sotto l'ombrello delle tutele costituzionali riservate a qualunque individuo e che, quindi, la prestazione sanitaria mai potrebbe assurgere di per sé a rilievo penale.
Nel caso di specie, peraltro, occorre dare specifica e peculiare rilevanza a un comportamento che (sebbene realizzato nel contesto topografico e cronologico del ricovero nella struttura ospedaliera) travalica la mera assistenza sanitaria, cioè alla consegna, da parte dell'indagato al latitante, di un'utenza telefonica per conto e su indicazione di un suo cugino sodale dell'associazione capeggiata dal predetto ricoverato; che, sul punto, la motivazione con la quale il Tribunale ha ritenuto di ritenere sussistente il meno grave reato di favoreggiamento personale (invece di quello inizialmente contestato) appare carente e non condivisibile perché non tiene in debito conto che l’utenza è stata consapevolmente consegnata all’indiscusso vertice di un’associazione criminale, da lungo tempo ricercato in quanto latitante, con conseguente possibile rafforzamento dell’associazione e volontà di contribuire alla realizzazione del suo programma criminoso; che, infine, non adeguatamente giustificata risulta la ritenuta adeguatezza degli arresti domiciliari in luogo della detenzione in carcere.
a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano