Detenzione nello studio di specialità medicinali e presidi medico-chirurgici scaduti di validità
- 18 Lug, 2024
- News , Giurisprudenza Sanitaria , Odontoiatria
La competente Corte d’Appello con sentenza del 13.10.2023 dichiara un odontotecnico e un medico odontoiatra, colpevoli del reato di cui all'art. 443 c. p. nella forma tentata (escludendo quindi la consumazione del reato ritenuta in primo grado).
Secondo quanto giudizialmente accertato, gli imputati - nelle rispettive qualità il primo di legale rappresentante di un centro di riabilitazione dentale e il secondo di direttore tecnico della struttura - detenevano nello studio specialità medicinali e presidi medico-chirurgici scaduti di validità, in precarie condizioni igieniche e a temperatura non controllata, con esposizione dei pazienti a potenziale pericolo per la salute.
Il giudice d’appello, in linea di principio, osserva che la detenzione di materiali di tal genere a fini di somministrazione non integra, in termini compiuti, la fattispecie incriminatrice, potendo residuare l'ipotesi del tentativo ove si tratti di attività idonea, consapevole e diretta in modo inequivoco alla somministrazione; che, quindi, ritiene sussistente questa ipotesi nella fattispecie in quanto l'elevato numero di dispositivi non conformi, rinvenuti in studio, indicava che l'accaduto non era riconducibile a colposa disattenzione, quanto piuttosto a modalità organizzative carenti; che questa circostanza è idonea a evidenziare indici di trascuratezza dei fondamentali doveri della professione, comportanti la “accettazione del rischio di compromissione del bene della salute pubblica”.
La Corte di Cassazione, prima sezione penale, con la recente sentenza n. 24756/2024, depositata il 21.06.24, su ricorso degli imputati, annulla per difetto di adeguata motivazione la sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice.
La Suprema Corte osserva, in particolare, che secondo la sua più attenta e condivisibile giurisprudenza la detenzione per la somministrazione di farmaci guasti o imperfetti è condotta che non integra l'ipotesi consumata prevista dall'art. 443 c.p. poiché esclusa dal tenore testuale della previsione, che fa riferimento “alla detenzione per il commercio, alla messa in commercio ed alla somministrazione” di tali medicinali; che, peraltro, questa condotta può integrare un'ipotesi di tentativo punibile, ai sensi dell'art. 56 c.p., quando costituisce atto idoneo diretto in modo non equivoco alla somministrazione e sia accompagnata dalla consapevolezza del guasto o della imperfezione del prodotto; che, quindi, il tentativo è ravvisabile (rispetto alla condotta di detenzione per la somministrazione) solo se si accerta, anche per via indiziaria, che l'interessato intendesse somministrare i farmaci e gli altri presidi medicali, che sapeva guasti o imperfetti; che, in sostanza non basta l'accettazione del rischio di somministrazione.
Osserva ancora la Cassazione che sul punto la sentenza impugnata risulta equivoca in quanto evoca il rischio di compromissione del bene della salute pubblica, ma non è chiaro se lo leghi a un mero pregresso rischio di somministrazione dei medicinali, ovvero se lo ritenga conseguenza di una somministrazione che gli imputati avevano comunque direttamente voluto; che, infatti, solo questo secondo scenario sarebbe compatibile con i predetti principi; che, inoltre, l'inidoneità di un assetto organizzativo non implica - necessariamente e di per sé - una volontà diretta di somministrazione, il cui riscontro è invece imprescindibile e che dovrà essere specificamente indagata, e se del caso validamente argomentata, sulla base di un rinnovato apprezzamento delle intere circostanze di contesto.
a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano