Il Tribunale accoglie la domanda formulata nei confronti dell’ASL con sentenza confermata dal giudice d’appello che osserva che le esigenze di contenimento della spesa sanitaria, pur legittime, non autorizzano la modifica unilaterale degli impegni assunti in sede di contrattazione collettiva, tanto più che l'intervento unilaterale aveva riguardato il solo corrispettivo, mentre era rimasta immutata, quanto ad impegno qualitativo e quantitativo, la prestazione richiesta al medico convenzionato.
L’ASL ricorre in cassazione sostenendo la legittimità del suo comportamento, ma la Suprema Corte, sesta sezione civile, con la recente sentenza n. 20529/2022, depositata il 27.06.22, respinge il ricorso escludendo la sussistenza delle denunziate violazioni di legge.
La Cassazione, in particolare, sottolinea che il rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali; che la disciplina dettata dall'art. 48 della legge n. 833/1978 e dall'art. 8 del d.lgs. n. 502/1992 non è derogata da quella speciale prevista per il rientro da eccessivi disavanzi del sistema sanitario e pertanto le esigenze di riduzione della spesa non legittimano la singola azienda sanitaria a ridurre unilateralmente i compensi previsti dalla contrattazione nazionale e da quella integrativa regionale; che le richiamate esigenze, sopravvenute alla valutazione di compatibilità finanziaria dei costi della contrattazione, devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione; che l'atto unilaterale di riduzione del compenso non ha natura autoritativa perché il rapporto convenzionale si svolge su un piano di parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l'esercizio dell'autonomia privata.