La sentenza viene confermata in appello e quindi l’imputato ricorre in cassazione sostenendo in sostanza che la sua responsabilità è stata ritenuta sussistente in quanto, senza adeguata motivazione, è stato ritenuto elevato il grado di scostamento della sua condotta rispetto allo standard e, comunque, non è stato tenuto in debito conto la maggiore difficoltà dell’intervento a causa dell’obesità della paziente.
La Suprema Corte, quarta sezione penale, con la recente sentenza n. 20652/2022, depositata il 27.05.22, rigetta il ricorso ritenendolo infondato.
La Cassazione osserva in particolare che il caso di cui si discute è avvenuto nella vigenza dell'art. 590-sexies cod. pen. (introdotto nel nostro ordinamento dalla legge Gelli n. 24/2017) e che lo stesso è stato correttamente inquadrato dai giudici di merito in una ipotesi di imperizia grave del chirurgo nella fase attuativa dell'intervento, come tale ritenuta penalmente rilevante in base all’interpretazione di questa norma fornita dalle Sezioni Unite della Cassazione con la nota sentenza n. 8770/2017; che, infatti, i giudici hanno sottolineato che la lunghezza del trocar è inferiore alla distanza che intercorre tra aorta e punto di ingresso dello strumento e che, quindi, l’imputato non avrebbe potuto attingere l'aorta se non imprimendo una notevole pressione sul trocar, come evidenziato anche dalle deposizioni delle infermiere che avevano assistito la paziente.
La Cassazione, inoltre, osserva che è stata anche accertata una esagerata inclinazione del trocar impressa al momento della sua introduzione nell'addome della paziente, nonché la sua introduzione a profondità eccessiva, superando i piani anatomici che avrebbero dovuto essere identificati attraverso il monitor e che questo comportamento, secondo il perito, non corrisponde a nessuna buona pratica medica.
Il ricorrente, d’altra parte, non ha contestato l'inquadramento della colpa nell'imperizia, ma solo il giudizio espresso dai giudici di merito circa la graduazione della colpa, giudizio peraltro condiviso dal primario del reparto - in un colloquio intercorso con il figlio della vittima (e registrato dal predetto) - che aveva ammesso che nel caso di specie vi era stato "un errore umano grossolano" nel corso dell'intervento in questione.
Il giudizio di gravità della colpa è stato quindi legittimamente formulato dai giudici territoriali, alla luce di una condotta del chirurgo manifestamente esorbitante rispetto al dovuto, tenendo anche conto delle specifiche condizioni del soggetto agente, del suo grado di specializzazione e della situazione specifica in cui si è trovato ad operare.